Economia e Finanza

Citywire

Osservatorio Global Bonds

Lo scorso 21 marzo il Comitato Esecutivo della Fed (FOMC, Federal Open Market Committee) è stato presieduto per la prima volta dal nuovo Governatore Jerome Powell, succeduto a Janet Yellen a febbraio. Come ampiamente previsto, la Banca Centrale nordamericana ha alzato di 25 punti base il tasso di riferimento portandolo all’intervallo 1.50% – 1.75% e confermato il programma di riduzione del proprio bilancio iniziato a ottobre 2017.
Il vertice di Constitution Avenue ha espresso ottimismo riguardo alla crescita economica – rivedendo al rialzo le previsioni sul PIL e al ribasso quelle riguardo alla disoccupazione sia per il 2018 sia il 2019.

Le stime circa la variazione dell’inflazione “core” sono, invece, rimaste sostanzialmente invariate su livelli – 1.9% per il 2018 e 2.1% per l’anno prossimo – in linea con l’obiettivo (2%).
La Fed, pertanto, prevede attualmente di aumentare il costo del denaro altre due volte nell’anno in corso, tre nel 2019 e due nel 2020. Si tratta, in tal senso, di dichiarazioni di intenti leggermente più restrittive di quelle dello scorso dicembre.

La curva dei Governativi d’Oltreoceano si è, tuttavia, appiattita a marzo in virtù del sostanziale stallo della parte breve e della flessione (superiore ai 10 punti base) del rendimento del decennale.

Tale movimento sembra legato all’incertezza sulle prospettive economiche degli USA nel medio/ lungo termine ed è stato certamente acuito nelle ultime settimane dal calo della propensione al rischio innescato dai timori di una guerra commerciale su scala globale seguiti alle dichiarazioni dell’Amministrazione Trump.
Le buonissime condizioni dei conti delle aziende e la solidità dell’attuale contesto economico planetario, inoltre, contribuiscono a contenere gli spread creditizi dei bond dollaro denominati che, pur lievemente aumentati si attestano a fine marzo intorno all’1% per gli investment grade e al 3.6% per gli high yield, non lontani dai minimi da quattro anni raggiunti lo scorso autunno.

La BCE, viceversa, l’8 marzo ha lasciato inalterato a zero il tasso di riferimento e a -0.40% quello sui depositi bancari presso sé medesima, e ribadito che il programma di acquisto di titoli – che consta attualmente di 30 miliardi al mese – proseguirà almeno sino a fine settembre. Draghi si è detto soddisfatto dell’andamento dell’attività economica continentale.
L’impressione, tuttavia, è che l’atteggiamento di Francoforte sia destinato a rivelarsi più accomodante di quanto oggi stimato. In particolare è stata a più riprese reiterata la convinzione che l’inflazione – pur gradualmente destinata a progredire verso l’obiettivo – sia oggi da considerarsi ancora troppo contenuta. Sono stati, inoltre, sottolineati i rischi, legati alle tensioni commerciali e all’apprezzamento dell’Euro.

La sensazione è, pertanto, che – se l’attuale contesto macroeconomico si manterrà in linea con il recente passato e le più recenti previsioni – la conclusione del Quantitative Easing a fine 2018 non sia da considerarsi scontata, e che, anche se il QEterminasse nel 2018, il tasso di riferimento non verrà modificato prima di fine 2019 al più presto. Proprio le limitate pressioni inflattive, sommandosi alla succitata ondata di avversione al rischio sui mercati finanziari, sono alla base della flessione nel mese di marzo del costo del servizio al debito – sia sulle brevi sia sulle lunghe scadenze – dei Paesi dell’Unione.

Tale calo ha riguardato Germania e Francia ma soprattutto, e inaspettatamente, l’Italia nonostante l’esito delle Elezioni Parlamentari del 4 marzo il cui risultato avvia una fase di grande incertezza politica nel Nostro Paese.
Le curve dei Governativi statunitensi ed europei sembrano destinate a tornare a salire ed irripidirsi nel prossimo futuro. Gran parte dei più importanti gestori di fondi obbligazionari mantiene, pertanto, una duration di portafoglio complessiva contenuta – specialmente in ambito europeo dove i rendimenti non sembrano avere spazio per diminuire ulteriormente.

A differenza di quanto abitualmente accaduto in passato, invece, molte tra le maggiori Banche Centrali emergenti stanno espandendo la propria politica monetaria benché la Fed operi in senso restrittivo.
Dopo Brasilia, Giacarta e Mosca, anche Pretoria ha abbassato a fine marzo il tasso di riferimento in ragione della recente attenuazione delle pressioni inflattive. Le curve dei tassi sovrani di numerosi paesi emergenti si sono conseguentemente abbassate – irripidendosi al contempo – nei primi tre mesi dell’anno e continuano a costituire la migliore opportunità di investimento obbligazionario secondo i più quotati gestori obbligazionari.